Diario degli ICM – “La Rotta Balcanica”

Dal 5 al 9 ottobre abbiamo partecipato, come ICM per AGESCI Toscana, ad un viaggio in Bosnia ed Erzegovina.

Non è facile scrivere di questo viaggio, e non solo perché la pagina è breve e moltissimo ci verrebbe da dire, ma perché abbiamo quasi il timore di fare torto a quanto di tragico e di stupendo abbiamo incontrato o intuito. Ci conforta, nel  raccontare, il mandato cui abbiamo cercato di essere fedeli: ascoltare, guardare, incontrare per aprire una strada ai Capi e alle Capo toscane e ai Rover e alle scolte per compiere  esperienze o campi di servizio, a partire dalla primavera del 2022, rinnovando un impegno che non è per nulla nuovo per la nostra Associazione regionale.

La Bosnia ed Erzegovina è una delle nazioni nate dalla disgregazione della ex Jugoslavia titina, dopo una durissima guerra contrassegnata da conflitti tra popoli di religioni diverse e caratterizzata da crimini di guerra e da un vero e proprio genocidio, ovvero un massacro organizzato, come quello di Srebrenica nel 1995. La nazione, in seguito agli accordi di Dayton del ’95, comprende la Repubblica Serba a Nord-Ovest, ai confini appunto con la Serbia, con una popolazione di fede cristiana ortodossa e una parte a Sud-Est, la federazione Croato-Bosniaca, con i Bosniaci di fede musulmana e i Croati di fede cattolica. L’instabilità politica e gli esiti della guerra, uniti agli effetti del periodo pandemico, fanno della Bosnia Erzegovina una nazione caratterizzata da processi di forte impoverimento ed elevati tassi di  disoccupazione, con i giovani costretti ad emigrare in Europa. La Bosnia Erzegovina infatti non è Europa, ma confina con la Croazia e per questo è diventata anche il terminale delle persone che tentano di raggiungere principalmente Germania e Italia lungo la cosiddetta rotta balcanica, un lunghissimo cammino che da qualche anno è diventato la strada di fuga anche dei profughi afgani, il cui progetto migratorio si infrange proprio alle porte dell’Europa, respinti appunto dalla polizia Croata.

In questo quadro operano Caritas Italiana e Caritas Bosnia Erzegovina in cooperazione con le Caritas diocesane dei due paesi: il viaggio è stato infatti promosso dal Gruppo Educazione Mondialità di Caritas Toscana con la quale, come AGESCI Toscana, abbiamo stretto rapporti di collaborazione attraverso un protocollo di lavoro redatto a più mani dalla Pattuglia Terzo Settore e da  Luca Orsoni di Caritas Toscana.

Abbiamo condiviso il nostro viaggio con uno splendido gruppo formato da 9 rappresentanti di alcune Caritas diocesane: San Miniato, Massa Marittima, Prato e coordinato da Don Armando Zappolini in qualità di referente del G.R.E.M.

Passiamo il confine vicino a Banja Luka, a pochi chilometri dal confine con la Croazia e quindi dall’Unione Europea, e visitiamo l’azienda agricola Livac con una gande stalla piena di mucche dal cui latte produce formaggio, ma dove troviamo anche una piccola produzione di birra.  Il direttore è un agronomo, accogliente, silenzioso che ci tiene a sottolineare che l’azienda include tra i propri lavoratori un migliaio di persone svantaggiate di qualsiasi fede ed etnia promuovendo così, oltre ad un indispensabile supporto economico, anche uno spazio concreto di pace e di incontro. Il dramma dei migranti ci si presenta invece nell’incontro con la Caritas diocesana di Banja Luka: ci parlano delle persone che arrivano lungo la rotta balcanica, che provano il passaggio dalla Bosnia Erzegovina alla Croazia a partire dal campo di Lipa, un campo per 2000 single men presso il quale Caritas e IPSIA ong di ACLI promuovono, tra l’altro, un lavoro psicosociale di prossimità presso una struttura chiamata “social corner”. Le attuali condizioni del campo di Lipa, la cui gestione passerà dall’OIM al governo della Bosnia Erzegovina, sono precarie dopo l’incendio che lo ha devastato di recente e diventerà ancora più dura quando tutto si fermerà con l’arrivo del rigidissimo inverno bosniaco che ferma the game rendendo proibitivo il passaggio del confine montano. Il lavoro delle Caritas non si limita ai campi, ma tende a tenere insieme gli interventi verso la popolazione locale di BIhac, centro prossimo al campo di Lipa, e quelli nei confronti dei profughi, cercando così di non fomentare un conflitto latente tra persone in condizioni di fragilità.

Sarajevo, seconda tappa del viaggio, ci accoglie al Centro della Pastorale Giovanile, struttura intitolata a Giovanni Paolo II che nel 2015 ha ospitato Papa Francesco, e che opera per il dialogo interreligioso nella città di Sarajevo. Mentre parliamo con gli operatori e le operatrici i del centro, coordinato, tra l’altro, da una donna di fede ortodossa, ascoltiamo il canto del Muezzin e capiamo quanto prezioso sia il lavoro interreligioso per promuovere relazioni di pace a partire dai giovani che vengono coinvolti in un’ottica di animazione e di formazione. Incontriamo la coordinatrice del campo di Usivak vicino a Sarajevo, un campo che accoglie famiglie con minori e minori non accompagnati. Capiamo che gli operatori, tra cui giovani italiani in servizio civile internazionale Caritas, ancora prima di “fare cose”, ascoltano, si mettono in relazione, sono disponibili a stare con persone, adulti, bambini e bambine, madri e padri con lunghe fughe alle spalle e talvolta numerosi tentativi di passaggio di confini, con il relativo carico di delusione, dolore e violenze. Sarajevo è anche la memoria della guerra, l’assedio dal ’92 al ’95 delle truppe serbe e i cecchini che sparano sulla gente che passa, inerme e delle porzioni di asfalto delimitate con schizzi di vernice e un buco al centro. Daniele Bombardi di Caritas Italiana da 16 anni in Bosnia, che ci accompagna con competenza e attenzione estreme, ci dice che sono le rose di Sarajevo: i luoghi dove le granate sono cadute facendo una strage.  E poi la visita al WAR CHILDHOOD MUSEUM (un museo che raccoglie oggetti e storie raccontate da chi, ai tempi dell’assedio, era un bambino o una bambina) e i diversi luoghi di culto dei questa incredibile città, detta la “Gerusalemme d’Europa”, che vede nel raggio di poco spazio la Cattedrale cattolica, la Cattedrale ortodossa, la Sinagoga e numerose Moschee. Infine Mostar con il suo centro storico patrimonio dell’UNESCO e con il ponte distrutto dalle bombe nel 1995 che univa – e ora, restaurato – unisce, la parte musulmana con la parte cattolica. Era la città con il più alto numero di matrimoni misti: ora sono molto pochi: la ricostruzione del ponte  ricostruito non è bastata a riscostruire la convivenza.  Incontriamo un’altra bella realtà dell’economia sociale: l’Associazione Vedri Osmeijh, creata da madri di bambini disabili per offrire loro uno spazio di lavoro, svago e inclusione. L’associazione infatti dispone di un giardino ( perlopiù un campo ) nel quale è stata costruita – tramite un progetto finanziato dall’Unione Europea – una grande serra, al fine di coltivare insieme ai ragazzi numerosi ortaggi, rivenduti poi in città per autofinanziamento.

Dunque che dire?

Si aprono diverse strade per servire: i campi profughi di Lipa, di Sarajevo, i progetti promossi tra agricoltura e sostegno alla popolazione in maggiore condizione di fragilità, i percorsi di dialogo interreligioso e l’esercizio della memoria. Molti percorsi, per gli R/S che intendono andare, per i quali, avremo bisogno di fare una formazione e un accompagnamento specifico, insieme anche a Caritas, ma che richiedono soprattutto la scelta di andare come pellegrini che ascoltano, che imparano, che trovino e provino anche la misura dell’impotenza, ma che aprano gli occhi per guardare ciò che la Bosnia amplifica e ingrandisce: i conflitti interreligiosi, la povertà, le condizioni di migranti e di profughi in cerca di patria e diritti..

Insomma, immergerci in una realtà lontana che ci parla del nostro farci prossimi qui dove siamo, qui dove scegliamo di testimoniare il nostro Patto Associativo e di accompagnare gli uomini e le donne della partenza.

 

Veronica Sorelli, Andrea De ConnoICM Toscana