Il 4 novembre del 1966 l’Italia settentrionale e centrale fu attraversata da una straordinaria ondata di maltempo. Dal Friuli all’Umbria ed oltre furono molte le inondazioni, le frane, gli sfollati e ingenti i danni alle cose, alle imprese, alle coltivazioni, al patrimonio artistico. Ma nella memoria collettiva il 4 novembre ’66 è il giorno dell’alluvione di Firenze. La mobilitazione per salvare i quadri, i manoscritti, le opere d’arte fu mondiale, i potenti della terra, vip, politici e ambasciatori di ogni paese si mossero per dare un supporto tangibile, sia tecnico e materiale che economico.
Ma va anche ricordato che tra i primi ad attivarsi per mettersi al servizio della città tutta, quando ancora era in corso l’esondazione, e pioveva forte, c’erano gli scout che bussavano alle porte per avvisare la popolazione, aiutavano, dove potevano, a sgombrare le case, dirigevano il traffico… Prima, insieme e dopo quelli che furono conosciuti da tutti come “angeli del fango”, gli scout animati dal puro spirito di servizio si misero in moto. Un moto continuo, costante e consapevole, non improvvisato ma figlio di un’organizzazione naturale, di un senso civico e di quel “osservare-dedurre-agire” con cui si cresce fin da lupetti e che sono insiti nel dna scout da Mafeking in poi, che ti fa chiedere “cosa posso fare per il mio Paese” e ti fa essere davvero “pronto” quando serve.
In quegli anni non c’era ancora la Protezione Civile, il sistema complesso che si è sviluppato proprio a seguito di quei terribili eventi e gli altri successivi, che ci fa essere un’eccellenza in Europa. Però c’erano gli scout, come in Irpinia o sul Vajont, accanto all’esercito e alla Cri. Per l’impegno profuso al servizio della Città di Firenze, il giorno di San Giovanni, gli scout fiorentini hanno ricevuto la più alta onorificenza del Comune, il Fiorino d’Oro.
Di queste esperienze uniche e, speriamo anche, irripetibili, oggi resta solo l’impegno e la memoria di chi c’era, i libri, le foto e la documentazione degli archivi mentre la passione, le motivazioni, il metodo, la scelta di servire e la Promessa di aiutare gli altri in ogni circostanza, rendendosi utili e compiendo il proprio dovere, sono ancora un fuoco latente che arde sotto la cenere dell’ordinarietà.
Lo dimostrano le centinaia di mail di disponibilità per partire e per formarsi ricevute dal settore Pc in questi ultimi mesi a seguito dei terremoti che flagellano il centro-Italia, da parte di Coca, clan, singoli capi ers e che sono lo specchio che questa regione c’è, è viva e vuol dare il proprio contributo.
Oggi il nostro intervento è diverso da quello del 66’ ma anche da quello del 2009 in Abruzzo. Dobbiamo essere specialisti e non generici, dobbiamo rispondere a disposizioni legislative precise e essere inseriti nel sistema di coordinamento con le altre figure che intervengono nell’emergenza con le procedure descritte nel nostro Protocollo Operativo, allegato del Regolamento Agesci. Possiamo e dobbiamo chiederci come farci trovare “pronti”, non bastando chiaramente i corsi sulla sicurezza dei volontari che sono obbligatori ma solo “abilitanti” all’intervento.
Quali sono le scelte metodologiche che ci rendono competenti ad intervenire? Come detto, la Protezione Civile è insita nel nostro metodo, basti pensare all’accensione di un fuoco in una qualsiasi uscita, dove vengono messi in atto tutte le fasi dei principi della Pc; previsione (prevedo che accenderò un fuoco e quindi ci saranno dei rischi da valutare), prevenzione (metterò in atto delle misure di sicurezza per noi e per l’ambiente), emergenza (se scappa una favilla intervengo prontamente a spengerla), ripristino delle normali condizioni (quando pulisco e lascio il mondo meglio di come l’ho trovato). Quindi basterebbe fare gli scout, non importa essere “Rambo” e non importa aspettare che ci siano le emergenze, ma fare con più consapevolezza le nostre attività per farci davvero, trovare pronti.
Oltre all’”aiutare gli altri” come possiamo “renderci utili”; con il nostro servizio quotidiano, con le nostre branche ed i nostri ragazzi, a cosa e a chi siamo utili? La risposta va trovata nella propensione a spenderci per il territorio in cui viviamo, come singoli individui che hanno a cuore il bene comune, che hanno fatto delle scelte e che fanno parte di comunità più ampie, che siano parrocchie, quartieri, paesi e città. Ma anche, e soprattutto, come educatori, esempi di “buon cittadino” affezionato alla propria realtà locale vissuta nello spirito critico propositivo per partecipare e magari contribuire ai cambiamenti, in meglio, della nostra società.
Il buon cittadino è colui che è pronto a dare una mano alla comunità in qualunque momento. Dico “pronto” e non soltanto desideroso; tante persone sono piene di buone intenzioni, ma al momento di realizzarle capita molto spesso che non hanno mai imparato come fare, quindi riescono inutili. B-.P.
“A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca? Ecco, occupatele.” Don Milani
Graziano Guccini- Incaricato Pc Toscana